A Lucca, il Festival Economia e Spiritualità 2018
La terza edizione dell’importante evento ha visto giornate di incontri, spettacoli e riflessioni, per ricostruire un fondamento spirituale nel rapporto con gli altri, con il lavoro e con l’ambiente
Anche quest’anno sono stato ospite del [su_highlight]Festival Economia e Spiritualità[/su_highlight], nella magnifica cornice dell’[su_highlight]Auditorium San Romano[/su_highlight].
Ho avuto, in effetti, il piacere di contribuire alla prima tavola rotonda della manifestazione, sul tema “I sette peccati capitali dell’economia italiana”, insieme a [su_highlight]Vincenzo Scotti[/su_highlight] (già ministro in diversi dicasteri, oggi presidente della [su_highlight]Link Campus University[/su_highlight]) e [su_highlight]Carlo Cottarelli[/su_highlight] (diversi incarichi al [su_highlight]Fondo Monetario Internazionale[/su_highlight], ex commissario per la spending review, oggi alla direzione dell’Osservatorio della finanza pubblica dell’[su_highlight]Università Cattolica[/su_highlight]).
Il festival è stato presentato dai due ideatori e direttori, padre [su_highlight]Guidalberto Bormolini[/su_highlight] e Francesco Poggi, docente di storia del pensiero economico all’università di Pisa.
Promosso dalle associazioni “[su_highlight]I Ricostruttori[/su_highlight]” e “[su_highlight]Teatro di Verzura[/su_highlight]” in collaborazione con il [su_highlight]Comune[/su_highlight] e l’[su_highlight]Arcidiocesi di Lucca,[/su_highlight] è sostenuto anche da [su_highlight]Banca Etica[/su_highlight].
“L’esperienza del festival – ha detto padre Guidalberto Bormolini – è stata fondamentale per progettare una vera e propria scuola di economia e spiritualità, insieme alle aziende etiche, che apriremo a Prato”.
“In Italia e in Toscana” ha affermato [su_highlight]Ugo Biggeri[/su_highlight] (Banca Etica) “qualcosa sta cambiando. Molte aziende hanno cominciato a preoccuparsi dell’impatto climatico e della responsabilità sociale di impresa, quando scelgono sui propri investimenti. È un cambiamento culturale che coinvolge soprattutto i giovani, su cui dobbiamo puntare“.
Nei giorni scorsi – accingendomi a scrivere questo articolo e tornando col pensiero ai “vizi dell’economia”, tema portante del convegno – riflettevo sulla definizione da enciclopedia del termine “vizio”:
“Incapacità del bene, e abitudine e pratica del male”.
Una definizione che trascina con sé altre domande: che cosa intendiamo quando parliamo di “bene”? E che cosa è “male”?
Questo ci fa subito intuire la stretta correlazione che c’è tra i concetti di vizio e di giudizio.
Nel linguaggio parlato, ad esempio, più o meno tutti noi concordiamo nel definire “vizi” alcuni piaceri malsani come la dipendenza dal fumo o il gioco d’azzardo.
Ma sarà capitato a tutti di sentirsi dire qualcosa come: “Non riesco a liberarmi dal vizio di mangiare un cioccolatino ogni sera” che, ne sono sicuro, appare una pratica del tutto innocente alla maggior parte delle persone.
Molte cose diverse, allora, possono essere considerate un vizio, a patto che ci sia qualcuno che le giudichi tali. Che le giudichi, cioè, un cattivo comportamento oppure una debolezza morale.
Che le giudichi, per l’appunto. Ecco la relazione tra il vizio e il giudizio.
E il giudizio è negativo o positivo?
Il giudizio non è altro che un’energia, e come tale non è né negativo né positivo.
Come la paura, ad esempio.
La paura può costituire un grande avvertimento se stiamo scalando una parete rocciosa, o se dobbiamo attraversare la giungla. Ma anche se dobbiamo solo attraversare la giungla d’asfalto di una città dal traffico caotico. Oppure se guidiamo su un’autostrada affollata.
In questi casi l’energia della paura manifesta la sua utilità, i suoi effetti positivi, perché ci tiene all’erta.
Tuttavia, in certi momenti della nostra vita la paura può avere un effetto negativo.
Abbiamo paura del cambiamento. Paura di abbandonare un lavoro che non amiamo, solo per timore di affrontare un nuovo contesto professionale. Paura di lasciare il noto per l’ignoto.
Sopraffatti dalla paura, accettiamo continuamente compromessi insoddisfacenti, quindi non viviamo la nostra vita.
Siamo bloccati dalla paura.
Allo stesso modo il giudizio, di per sé, non è né negativo né positivo.
Può darci avvertimenti, farci sentire a disagio in alcune situazioni non chiare, segnalarci persone a cui dobbiamo fare attenzione.
In questo senso ha un effetto positivo: ci può dare una grande mano nella discriminazione.
Ma il giudizio può essere anche applicato automaticamente alle situazioni, agli altri, a tutto ciò che ci circonda, avendo solo come riferimento i nostri condizionamenti, i nostri pre-giudizi, per l’appunto.
Questo giudicare avendo solo se stessi come misura di tutto, può solo creare divisioni, e di conseguenza conflitti.
Per questo io non vorrei contrapporre le virtù ai vizi dell’economia. Vorrei invece invitare, su questa base, ad andare un poco oltre, a scavare.
Perché non riusciamo in economia, ma anche in politica, ad applicare un modo di agire basato effettivamente sulla collaborazione?
Si tratterebbe di agire avendo come fine una splendido obiettivo: un umanesimo planetario. Sarebbe un grande risultato, vero?
Se guardiamo indietro nel tempo, addirittura a millenni, né le religioni, né la politica, né le ideologie sono mai riuscite a creare delle relazioni sane, ordinate, armoniose.
Non siamo riusciti a costruire relazioni sane e armoniose tra culture diverse, tra uomo e donna, tra differenti religioni (e perfino fratture insanabili all’interno della medesima religione), tra appartenenti alla stessa famiglia, tra amici, tra gli esseri umani e l’ambiente, tra colletti blu e colletti bianchi, tra sindacato e imprenditoria…
Quindi, sembra proprio che un punto nodale sia costituito dall’incapacità di noi esseri umani di costruire autentiche relazioni.
La cosa paradossale è che noi esseri umani siamo sempre in relazione. Da soli non possiamo fare nulla, da soli non esistiamo.
Questo è un punto fondamentale, a mio parere, un punto che è necessario prendere in considerazione.
Noi tutti siamo condizionati, dalla cultura in cui siamo immersi, a pensare a noi stessi come individui a se stanti, intrinsecamente soli.
Questo è il messaggio che ci giunge da più parti, quindi ognuno di noi pensa che mettere a posto sé stesso significa mettere a posto tutto.
Non abbiamo chiaro ciò che realmente siamo, ignoriamo la nostra essenza.
Ci identifichiamo col nostro Io Fenomenico, che riteniamo intrinseco, a se stante, indipendente.
Noi siamo invece interdipendenti.
Solo nell’interdipendenza sopravviviamo, cresciamo, creiamo, prosperiamo, viviamo pienamente.
Ma noi non lo sappiamo perché non ci conosciamo e, ancora meno, conosciamo la nostra essenza.
Non conoscendo la nostra essenza, ed essendo identificati nel nostro Io Fenomenico, quello che succede dentro noi stessi lo possiamo paragonare a un’impresa priva di imprenditore.
Questa impresa è diretta da operai, impiegati e direttori in lotta tra loro che, alternatamente e per un breve periodo, prendono il sopravvento sugli altri e portano avanti l’azienda secondo i loro personali interessi, la loro personale visione delle cose.
In noi – nell’impresa che costituisce la nostra mente, il nostro spirito – chi sono questi impiegati, questi operai, questi dirigenti che vogliono sopraffare gli altri?
Sono le afflizioni mentali, le percezioni, le sensazioni (positive, negative o neutre che siano), l’inconscio, il subconscio, le emozioni perturbanti (quali la brama, l’avversione ,il desiderio, la gelosia, la rabbia, il piacere, l’invidia, la paura), che prendono il sopravvento su di noi e ci fanno agire di conseguenza.
Così, di volta in volta, crediamo di aver preso decisioni ponderate, ma in realtà siamo in balia delle nostre emozioni, delle nostre percezioni, delle nostre afflizioni.
Per rimediare a questa situazione caotica dobbiamo innanzitutto lavorare su noi stessi, fare quindi in modo che l’imprenditore torni nell’impresa, che continui (o che cominci) a imprendere.
Per riuscirci dobbiamo iniziare un processo di autoconoscenza, sperimentare la nostra essenza, entrare in contatto col nostro Io Essenziale che, in quanto tale, non ha inizio né fine. E osservare bene la coscienza, che è come un fiume che scorre all’infinito.
Pensate al “Panta rei”, con cui [su_highlight]Eraclito[/su_highlight] si riferisce all’eterno divenire della realtà. “Panta rei”, “Tutto scorre”!
Allo stesso modo, dentro di noi tutto scorre. Proprio come un fiume che apparentemente rimane uno e identico, ma che invece si rinnova e si trasforma di continuo, influenzato dalle afflizioni, dalle percezioni, dalle emozioni perturbanti, dall’esperienze del cammino della vita . Così non è mai lo stesso fiume.
Ma se noi ne abbiamo coscienza, possiamo far sì che questo nostro fiume interiore sia influenzato positivamente dalle qualità che possiamo coltivare in noi, come la generosità, la pazienza, la consapevolezza di far parte di un tutto, di essere interdipendenti.
In questo modo il nostro agire cambierà.
Non sarà più dettato da un io egoico, a se stante e indipendente (“agisco per ottenere il meglio per me stesso o, al massimo, per la mia famiglia”).
Rendendoci conto che la nostra vita dipende dagli altri, che l’essenza che riconosciamo in noi stessi possiamo trovarla in chiunque altro, che facendo del male agli altri facciamo male anche a noi stessi, rendendoci conto di tutto questo, qualcosa cambierà.
Cambierà perché, a quel punto, il nostro agire non sarà più determinato dalla parte egoica, ma sarà un agire che guarderà al bene comune.
Un agire non più indirizzato solo verso un Io, ma verso un Noi.
Non intendo con questo sostenere la necessità di uccidere l’ego. Sarebbe come dire uccidiamo il corpo. Entrambi sono necessari per agire nel mondo e far parte in modo armonioso dell’equilibrio cosmico.
L’ego quindi, come il corpo, non è un nemico da annientare.
È invece una sorta di ponte tra la parte essenziale e la parte grossolana della mente. Ma ripulito e gestito nella maniera giusta, ci può essere di grande aiuto.
È pieno il mondo di persone che, anche grazie al loro Io Fenomenico, fanno del bene dal mattino alla sera. Non hanno ucciso l’ego, ma il loro ego è in funzione dell’Io Essenziale.
E questo è davvero uno splendido modo di cambiare il proprio agire.
Quindi, il primo passo consiste nella volontà di uscire dall’ignoranza, per rendersi conto di quel che siamo veramente.
Si tratta perciò di affrontare la conoscenza di se stessi, che la maggior parte di noi ignora, per l’appunto, identificandosi invece solo nell’Io Fenomenico.
Quest’ultimo è di solito completamente obnubilato dalle emozioni perturbanti, dalle gelosie, dalle invidie, dai desideri, dalla bramosia, dall’avversione.
Il suo agire sarà quindi necessariamente confuso, e dove c’è confusione non può esserci armonia.
Il secondo passo è la coscienza dell’interdipendenza che ci unisce l’un l’altro.
Il terzo è la motivazione. Perché agisco così? Che cosa mi fa compiere questa azione? Davvero è dettata dal bene comune o, in realtà, sto pensando solo a favorire me stesso?
Se i capi dei governi, delle regioni, i sindaci, i presidenti delle grandi aziende (ma anche di quelle piccole e medie), gli artigiani, i liberi professionisti, i componenti di ogni famiglia… se tutte le persone prima di agire depositassero la mente nel cuore e si chiedessero: “Perché agisco in questo modo? Che cosa mi spinge davvero a fare questo? E la mia azione quale conseguenza avrà sulla vita degli altri?”
Ecco, se tutti lo facessero, sicuramente il mondo cambierebbe in meglio.
Il nostro agire non sarebbe più dettato solamente da un’ambizione, da un tornaconto personale, non sarebbe più dettato solo dall’ego, ma sarebbe un agire basato sulla saggezza, sulla consapevolezza di far bene agli altri e quindi anche a noi stessi.
Sarebbe un agire che scaturisce dell’Io Essenziale, il quale non ha un inizio o una fine, è spazioso, non è materiale, non è un oggetto tangibile.
È invece qualcosa che continua, che riflette, che conosce.
È autoconsapevolezza pura in continuo movimento, e che tuttavia non può essere intaccata perché riflette come uno specchio.
È come l’aria, che è pura nella sua essenza, eppure noi la inquiniamo con i gas di scarico, con i fumi tossici. Ma se troviamo uno spazio in cui l’aria è ancora pura, questa ci ossigena i polmoni, ci ossigena la mente.
E così l’acqua che noi riempiamo di detriti, di rifiuti, di sostanza chimiche. Se beviamo quell’acqua contaminata, possiamo avere seri problemi e anche morire. Ma la purezza è l’intima natura dell’acqua e, se beviamo da una fresca sorgente di montagna, possiamo solo trarne benefici.
Quindi questo Io Essenziale, questa mente principale, questa mente sottile, quest’anima, questa intelligenza primordiale, questa consapevolezza pura – chiamatela come volete – può fare solo bene.
È vicina all’amore, è amore, è bellezza, è compassione nel senso etimologico del termine. E come tutte le cose pure, perfette in sé, non può che contribuire al bene.
Se vogliamo allora risolvere alla radice ciò che negli ultimi millenni non siamo mai stati in grado di risolvere, dobbiamo affrontare una ri-evoluzione della coscienza. Quindi agire sempre da questo nostro Io Essenziale, dalla saggezza.
In questo modo la nostra dignità di essere sarà anche nel fare senza più divisioni. Perché, non dimentichiamolo mai, dove ci sono divisioni ci sono conflitti e non possono esserci armonia e collaborazione.
Niccolò