A volte scoprire l’acqua calda non significa ribadire una banalità ma prendere coscienza della profondità che sta dietro alcune apparenti ovvietà. Quando, ad esempio, parliamo di qualità nella gestione delle risorse umane, l’opinione comune è che un management in grado di motivare i dipendenti aggiunga valore alla qualità dell’azienda.
A questo proposito, il prof. Siri dell’Università San Raffaele mi ha segnalato due studi interessanti, il primo pubblicato un paio di anni fa sul magazine accademico Dissertation Abstracts International (sezione Humanities and Social Sciences) a proposito della ormai mitica TQM (Total Quality Management) che arriva a supportare empiricamente l’idea che il fattore decisivo per generare TQM è l’engagement del top management, in particolare la sua capacità di dare orientamento, senso e progetto all’agire aziendale; il secondo studio del 2011, pubblicato sul Journal of Psychology, arriva alla conclusione che la soddisfazione/felicità sul lavoro è indipendente dall’impegno posto dai singoli nel lavoro stesso: cioè che si può lavorare con impegno ma non trarre necessariamente con ciò gioia dal lavoro.
Da questi studi si deduce che il “plus” che dà qualità e gioiosità al lavoro in una organizzazione dipenda significativamente dalla capacità del top management di trasmettere progetto più che dall’impegno che il lavoratore mette personalmente nel suo lavoro.
Nell’economia della consapevolezza questa tematica si sviluppa in modo ulteriore: è la struttura stessa dell’organizzazione, simile a una cellula e a un organismo vivente, che dà l’impulso alla qualità. L’orientamento, il senso e il progetto dell’agire aziendale vengono trasmessi dalla forma stessa dell’organizzazione, sono essi stessi parte della struttura e non un qualcosa che arriva dall’esterno.
Possiamo dire che ogni elemento del sistema riceve, crea e al tempo stesso ri-trasmette i valori, ogni persona ne è consapevole e partecipe, ognuno per quello che può dare, ognuno per quello che può ricevere.