Proprio ieri mi è successo di sfogliare ancora, dopo parecchio tempo, lo straordinario saggio di Erich Fromm “Avere o essere?”
Tra le sue pagine mi ha particolarmente colpito questa frase, poeticamente suggestiva eppure di grande immediatezza.
Un “Avere” deve possedere un fiore, lo coglie, lo fa suo. Un “Essere” ne contempla la bellezza, godendo di questo, percependolo per immaginare altri orizzonti.
Qual è dunque la modalità a cui dobbiamo tendere?
Nella nostra cultura, in effetti, si vive spesso la lacerazione causata dalla distonia tra l’avere e l’essere, oppure tra l’apparire e l’essere. Come se l’unica opzione possibile fosse compiere una scelta definitiva e radicale tra le due modalità.
Sono invece convinto che sia assolutamente necessario ritrovare un equilibrio. E il modo più semplice per farlo è ribaltare il concetto, è rimettere al centro la vita.
Allora non vivremo per lavorare, ma lavoreremo per vivere. Non compreremo degli oggetti solo per poterli esibire, ma per il contributo di piacere, comodità, bellezza, utilità, che possono dare alla nostra vita. Senza attaccamento e senza identificazioni.
Se ci accadesse poi di perderli, il fatto non andrebbe certo a intaccare la consapevolezza di ciò che siamo.
Questo, naturalmente, non vuol dire che sia necessario fuggire dal mondo fenomenico, dal piacere e dalla bellezza che è in grado di offrire: un bel vestito, un viaggio, un’automobile, un tramonto o un fiore. Significa però che se ci identifichiamo in ciò che è materiale, ci stiamo identificando in qualcosa di momentaneo, che può essere perso o che può modificarsi da un momento all’altro.
Significa quindi, in ultima analisi, legare la propria felicità a una sicura sofferenza, dato che l’unica cosa che di sicuro non cambia è il cambiamento.
Ho l’impressione che sempre più persone siano consapevoli di questo.
Ecco allora che la ricerca della felicità conduce non di rado verso la meditazione. Vale a dire verso la consapevolezza che solo nella propria interiorità, nella propria essenza, è possibile trovare in modo duraturo bellezza, pace, gioia e dinamica vitalità.
Anche per questo sui media si parla sempre di più di pratiche meditative, e non di rado l’espressione è complicata da archetipi e simbolismi.
Ma la meditazione non è altro che la nostra intima natura. Siamo in meditazione quando siamo presenti. Quando sappiamo di essere vivi. Quando siamo pienamente consapevoli di ciò che sta accadendo. Quando, semplicemente, ci ricongiungiamo all’essenza di noi stessi.
In questo difficile momento di capovolgimenti etici, sociali, civili e culturali, in cui le sfide si susseguono con asprezza e le richieste esteriori sembrano non avere mai fine, è particolarmente importante unirsi di nuovo alla nostra essenza, ritrovare nel profondo la nostra autoconsapevolezza saggia.
La meditazione, in questo, è senza dubbio un valido supporto perché ci permette di osservare i meccanismi che ci dominano. Ci dona sempre più distaccata familiarità con le emozioni negative e i veleni che occupano grande spazio nella nostra mente. Ci rende consapevoli di quanto spesso reagiamo e quanto poco, in realtà, agiamo.
Governati dal caos che c’è in noi, interpretiamo l’esistenza riproducendo all’esterno, sotto forma di conflitti, le stesse divisioni che vivono dentro di noi.
La meditazione può farci vedere tutto questo con lucidità. Non è mai una fuga dal mondo, al contrario ci radica sempre più nel mondo.
Per questo può aiutarci a percorrere un cammino diverso, dove la vita di ogni singolo individuo diventa un’arte, le persone si relazionano l’una all’altra in modo collaborativo e ovunque risboccia una nuova umanità.
Sin da piccoli ci insegnano che dobbiamo fare qualcosa, diventare qualcuno. Allora studiamo, ci prepariamo per diventare architetti, dottori, avvocati, imprenditori, insegnanti, negozianti, manager, attori: il successo sembra racchiuso nell’assunzione di un ruolo professionale definito. Ma quante persone di successo sono, in realtà, dilaniate da gelosie, invidie e bramosie generate dai conflitti e dalle divisioni che continuano a vivere dentro di loro!…
Nessuno ci insegna che il vero successo che ogni persona può conseguire, al di là dei ruoli sociali e delle apparenze, è quello di trasformare la propria esistenza in un’autentica arte.
La chiave di questa trasformazione risiede nella profonda comprensione, attraverso la consapevolezza intuitiva, dell’interdipendenza che esiste tra ognuno di noi, perché tutto è interconnesso con tutto.
Tutto è inserito in un processo dinamico in cui anche le nostre azioni e il nostro personale cambiamento incidono sulla realtà. Per questo cambiare noi stessi può davvero cambiare il mondo.
Ecco, la meditazione ci avvia su questo percorso, ci permette in qualche misura di plasmare la realtà e di diventare veri artisti della nostra vita.
Un augurio, a tutti voi, per riuscire a fare del 2016 un capolavoro: che sia l’anno della consapevolezza, della trasformazione e del cambiamento.
Niccolò
Il nostro piccolo grande cambiamento, come Folkamiseria, arriverà con il nuovo lavoro discografico intitolato (forse) Follia, all’interno del quale presentiamo un brano dedicato alla bellezza del Fernet: un omaggio ad un’antica tradizione lunga più di 150 anni
Caro Milo,
la ringrazio per l’informazione che mi ha spedito in anteprima e anche per essere un estimatore del nostro prodotto.
Se vuole, mi mandi qualche nota (in tutti i sensi) su questo vostro brano.
Le faccio i miei migliori auguri per il proseguimento del suo lavoro.
Un caro saluto
Niccolò