Il 4 settembre uscirà “Ritorno al cuore – Taccuino per viaggiatori consapevoli”.
Il mio nuovo libro, tocca tematiche che ho cominciato a sviluppare immediatamente dopo l’uscita della pubblicazione precedente, Per fare un manager ci vuole un fiore.
Accadeva infatti che in svariate occasioni, parlando con il pubblico o con i giornalisti, avessi modo di notare che una cosa, sempre la stessa, destava uno stupore quasi incredulo. Era il fatto che un imprenditore, quindi una persona abituata a rapportarsi ogni giorno, e in modo molto concreto, a tutti gli aspetti materiali che governano il mondo del lavoro e i meccanismi dell’economia, provasse un evidente interesse per la spiritualità.
Come possono coesistere due energie come la materia e la spiritualità? Era questa la domanda che più frequentemente mi veniva – e che mi viene – rivolta.
È indubbiamente uno dei luoghi comuni più diffusi. Secondo questo cliché le persone spirituali non devono possedere niente, devono essere estranee alle problematiche del lavoro e, ancora di più, a qualsiasi questione di carattere economico.
Di conseguenza un imprenditore non può avere una vita spirituale, perché interagisce costantemente con le cose del mondo. Quindi deve fare qualsiasi cosa per raggiungere i propri risultati: business is business, come si dice.
Secondo questa visione i due aspetti non possono mai trovare punti di contatto. Come è possibile, ci si chiede, che una persona spirituale possa godere dei piaceri del mondo? E, all’opposto, come può una persona ben inserita nei meccanismi e nei doveri del “fare”, conciliare i mille impegni della propria vita professionale coi tempi lunghi e lenti della meditazione?
Le due dimensioni appaiono sempre in contrapposizione e, davvero, moltissime delle domande che mi sono state poste durante le interviste o gli incontri di presentazione del libro giravano intorno a questa apparente contraddizione.
La nostra mente grossolana e dicotomica, infatti, tende a classificare ogni cosa prevalentemente in termini di contrapposizione. Ciò vale ancora di più per gli elementi spirito e materia, sempre interpretati come due inconciliabili estremi.
Ma questa è, per l’appunto, soltanto una semplicistica e approssimativa interpretazione della nostra mente.
Non ci sono energie contrapposte l’una all’altra. Il mondo è retto invece da due energie diverse e fondamentali, ma sempre correlate, collaborative.
Due energie che cooperano incessantemente e che, congiungendosi, generano armonia.
Pertanto, la domanda che dobbiamo porci è, semmai, la seguente: cosa dobbiamo fare per arrivare a una sintesi tra le due polarità?
La risposta, come sempre accade per le cose importanti, è di sconcertante semplicità: dobbiamo lavorare su noi stessi e puntare, in ogni circostanza, all’equilibrio.
Quando in noi c’è equilibrio le due energie in apparenza contrapposte iniziano a cooperare in direzione della saggezza.
Attraverso l’equilibrio, quindi, noi attuiamo una sintesi evolutiva tra materialismo e spiritualità. Una sintesi più elevata il cui risultato è sempre maggiore della somma delle parti e ci porta nella dimensione della saggezza.
Accedere a questa dimensione significa adottare finalmente una visione unitaria della realtà.
Una visione priva di stereotipi. Non c’è più contrapposizione tra ciò che è materiale e ciò che è spirituale. Anzi, ogni momento, ogni aspetto materiale della vita quotidiana all’improvviso sembra offrire continue sollecitazioni per migliorare e sviluppare la nostra parte spirituale. E viceversa.
La saggezza non è altro che questo. Un modo di essere, di vivere la vita, di fare della propria esistenza una vera arte.
Di solito siamo condizionati da etichette, luoghi comuni, cliché. Una religione, ad esempio, la vediamo essenzialmente sotto un profilo filosofico o ideologico ma non riusciamo a calarla nella vita di tutti i giorni.
Attraverso la saggezza usciamo da questa visione schematica e dicotomica. Cominciamo così a rapportarci alle diverse energie per ciò che sono veramente. Ne apprezziamo sempre più gli aspetti di integrazione e cooperazione di cui sono dotate e che conducono all’armonia.
Allora ci rendiamo conto che non è fondamentale lasciare tutti i beni, abbandonare la bellezza, le gioie e i piaceri legati agli aspetti materiali della vita. Si tratta invece di viverli, ma in maniera distaccata: vivere nel mondo senza essere del mondo.
Nel momento in cui noi prendiamo la decisione di cambiare, accade allo stesso tempo una cosa stupenda: adottiamo una visione diversa della vita, del lavoro, delle persone, delle cose, di tutto ciò che ci circonda.
Ci apriamo a una visione basata sul valore dell’interdipendenza.
Abbracciamo un’ottica improntata a un Noi invece che solamente a un Io.
Questo è il segno che il percorso spirituale intrapreso è buono.
Gran parte di queste riflessioni le ho fatte in movimento, mentre camminavo senza una meta precisa per la campagna toscana.
Dalle passeggiate fatte in totale libertà e presenza, a contatto con la natura, riceviamo sempre moltissimo, anche quando non siamo perfettamente consapevoli dell’entità di quel dono.
Riceviamo sempre moltissimo non solo per la gioia prodotta dalla bellezza del paesaggio o dalle scoperte inaspettate, ma perché la ritmata meditazione indotta dal camminare ci conduce inevitabilmente a realizzare, con estrema lucidità, che siamo liberi.
Liberi di procedere al nostro passo, liberi di fermarci o di continuare, liberi di proseguire sullo stesso percorso, oppure di decidere una sorprendente deviazione.
E non è così anche nella vita?
Niccolò
Buongiorno Niccolò, ma allora è vero, hai scritto un altro libro!
Avevo visto la copertina su un sito di libri, qualche giorno fa, ma poi non ricordavo più che sito era…
Bene, comunque. Non vedo l’ora di leggerlo!
Filippo
Caro Filippo,
grazie per il tuo entusiasmo. Quando avrai letto il libro, fammi conoscere le tue impressioni.
Un caro saluto
Niccolò